"Schwerer ist es, das Gedächtnis der Namenlosen zu ehren als das der Berühmten.
Dem Gedächtnis der Namenlosen ist die historische Konstruktion geweiht."
"È più difficile onorare la memoria dei senza nome che non quella di chi è conosciuto.
Alla memoria dei senza nome è consacrata la costruzione storica."
Walter Benjamin, Gesammelte Schriften, Band 1, Teil 3, Suhrkamp, Frankfurt/M., 1974, S. 1241
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CAMPO DI CONCENTRAMENTO FASCISTA DI CASOLI (1940-1944)
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Coloro che eventualmente si riconoscessero tra le persone qui menzionate o rappresentate nelle fotografie, oppure parenti degli internati, che volessero renderci noti elementi utili ad arricchire la conoscenza dell’esperienza dell’internamento e partecipare alla ricerca attraverso la propria testimonianza o contribuire con documenti e altri materiali possono rivolgersi a: info@campocasoli.org.
Dettagli
Autore: Fortunat Mikuletič Curatore:Giuseppe Lorentini Traduttore: Ravel Kodrič Editore: Round Robin Editrice Collana: Fuori rotta
Pagine: 350 p., ill. , Brossura ISBN: 9791254850343
SINOSSI
Nel 1941, mentre la guerra infuria per l’Europa, un avvocato sloveno di Trieste, sospettato di attività antifasciste, viene strappato dalla sua vita e internato nei campi di concentramento fascisti di Corropoli e in seguito di Casoli in Abruzzo. Resoconto fedele della quotidianità nei campi fascisti, Internatite, oltre a narrare l’esperienza personale di Mikuletič, tesse il mosaico dei destini degli internati, un intreccio di vite sospese, tutte affette da quella malattia dell’anima che l’autore sardonicamente definisce “internatite”. L’abilità di Mikuletič nel discernere la luce anche nelle tenebre più dense si manifesta in ogni pagina di questo intenso, e a tratti sorprendentemente allegro memoir, che si offre alle lettrici e ai lettori di oggi come un omaggio alla resistenza umana e un monito per le generazioni a venire. Il testo è arricchito dalle illustrazioni del pittore Ljubo Ravnikar, amico e compagno di internamento.
Giuseppe Lorentini
L'ozio coatto
Storia sociale del campo di concentramento fascista di Casoli (1940-1944)
pp. 163
€ 14,00
isbn 9788869481291
Il libro
"Io sempre vissi dal lavoro e non posso più sopportare l'ozio coatto dell'internamento". Casoli, 22 settembre 1942.
Casoli, cittadina abruzzese in provincia di Chieti, si erge arroccata su una collina alla destra del fiume Aventino ai piedi del massiccio della Maiella. Nell'aprile del 1940 fu scelta dal ministero dell'Interno per allestirvi una struttura per internare "ebrei stranieri"; questa divenne un campo fascista attivo dal 9 luglio 1940. Nei primi giorni di maggio del 1942, gli internati ebrei vennero trasferiti nel campo di Campagna (Salerno) e a Casoli arrivarono gli "internati politici", per la maggior parte civili "ex jugoslavi" originari delle terre di occupazione italiana in Jugoslavia.
Analizzando i fascicoli personali di quasi tutti gli internati, conservati presso l'Archivio storico comunale di Casoli, e confrontandosi con la storiografia e le fonti relative al periodo, Lorentini ripercorre la storia del campo facendo emergere il profilo dei prigionieri, le loro biografie, la vita quotidiana, le pratiche della comunicazione, il rapporto con la comunità cittadina, ma anche i problemi amministrativi e organizzativi riguardanti la sua gestione. La ricerca storica del campo di Casoli ci restituisce, come in un'istantanea, una pagina finora oscura dell'internamento civile fascista come spazio delle pratiche della politica razziale e di repressione operata dal regime, come laboratorio del razzismo fascista a livello locale.
Giovedì 27 gennaio 2022 è avvenuta l’inaugurazione del monumento dedicato alla memoria degli internati dell’ex campo fascista di Casoli in occasione del Giorno della Memoria, la ricorrenza internazionale in ricordo delle vittime della Shoah. Il comune in provincia di Chieti era sede di uno dei quindici campi di concentramento abruzzesi allestiti dal regime fascista all’indomani dell’entrata in guerra dell’Italia nel giugno 1940.
La cerimonia, condotta nel pieno rispetto delle norme anti covid-19, con la partecipazione dell’Ambasciatore della Repubblica di Slovenia S. E. Tomaz Kunstelj, ha avuto luogo alle ore 10:00 in Piazza della Memoria, ove, il 27 gennaio 2018 il Comune di Casoli aveva già posto una targa contenente tutti i 218 nomi degli internati civili “ebrei stranieri” (108), per lo più tedeschi, austriaci, polacchi, e degli internati politici “ex jugoslavi” (110), per la maggior parte croati e sloveni, che tra gli anni 1940 e 1943 transitarono nel campo fascista di Casoli.
Il progetto di ricerca e documentazione del campo di concentramento civile fascista di Casoli (1940-1943) è nato all'interno del Corso di Laurea Magistrale binazionale in Scienze storiche tra l'Università di Bielefeld (Germania) e l'Università di Bologna, di cui il Prof. Vito Gironda è il coordinatore scientifico e supervisore della ricerca. Il lavoro di ricerca e documentazione è stato svolto da Giuseppe Lorentini.
I risultati del progetto sono ora visibili nella sua quasi interezza sul sito www.campocasoli.org, ideato e curato dal Lorentini e che rappresenta un esempio di eccellenza di archivio digitale sia come strumento di consultazione a fini della ricerca storica e sia come vettore della conservazione e della trasmissione della memoria. In occasione della visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Gironda e Lorentini sono venuti dall’Università di Bielefeld (Germania) al fine di illustrare al Presidente Mattarella risultati e contenuti del progetto sul campo di Casoli. Il Presidente ha visitato le cantine del Palazzo Tilli recentemente restaurato dall’imprenditrice Antonella Allegrino. Nel 1940 i locali di proprietà dell’Avv. Tilli sono stati scelti dal regime fascista per allestire il campo di concentramento di Casoli.
Alcune foto di Casoli per gentile concessione del fotografo Giovanni Di Prinzio
AGGIORNAMENTI E NOTIZIE DA CAMPOCASOLI
Completata la digitalizzazione di 215 fascicoli: 4.462 documenti. Cifra aggiornata in data 02.03.2017.
DATABASE INTERNATI attivo dal 10.05.2017
Verso la fine del 1930 a Milano in via Espinasse al numero 5, abitavano alcune famiglie di religione ebraica.
La casa era quella detta di ringhiera cioè alla fine di ogni rampa di scala c’era un lungo ballatoio dal quale si entrava in ogni singolo appartamento che consisteva in due locali, la cucina e la camera da letto. Il bagno era in comune sul ballatoio. Noi abitavamo al terzo piano ed eravamo fortunati perché il nostro appartamento era situato prima dell’inizio della ringhiera, era più grande (3 stanze) ed aveva il bagno interno. Il nostro nucleo famigliare era formato da mio padre Dana Salomone, da mia madre Botton Malkuna che noi chiamavamo Margherita. Poi venivo io, Moshè Moise, che nel 1938 avevo 7 anni, mio fratello Samuele di 5 anni e mia sorella Stella di un anno. Poi c’erano i nonni, genitori di mio padre, Michon (Moshè) Dana ed Ester Sarfatti. Noi bambini eravamo nati a Milano ma la mia famiglia proveniva da Istanbul e in casa parlavamo in ladino (un dialetto giudeo-spagnolo) perché come tutti gli ebrei di Istanbul, erano discendenti degli ebrei cacciati dalla Spagna nel 1492 a seguito dell’Inquisizione.
Mia madre la chiamavamo Mercada che significa comprata perché da bambina era stata molto malata e a quei tempi in Turchia quando un bambino stava male si fingeva di venderlo e poi di ricomprarlo in modo da salvargli la vita.
Lungo la ringhiera, alla seconda porta abitava la famiglia della sorella di mia madre, Fortuna con il marito Josef Gallico e due figlie Ester e Fanny. Dopo di loro abitava la famiglia Coen, composta da una signora vedova che noi chiamavamo Madame Rachel, con due figli già adulti, Roberto e Luisa. Nella ringhiera a fianco abitava il fratello di mio padre, Shabatai che era il più giovane, con la moglie Zaffira che veniva da Izmir. Avevano una figlia, Stella (dopo la guerra nacque la seconda figlia, Rosa). Nell’appartamento successivo abitava un altro fratello di mio padre, Vitali, il quale aveva sposato una ragazza di religione cattolica ed avevano una figlia di nome Stella.
Hochberger Woicech Bela, figlio di Simone Marco e di Henny Weissmann. Ebreo apolide. Commerciante. Nato a Budapest il 26.08.1898. Sposato con Morgenstern Lea Mincia fu Abraham più giovane di 9 anni. I coniugi Hochberger hanno due figli: Wolfgang nato a Dresda in Germania nel 1931 e Evelina nata a Budapest nel 1934. Tutta la famiglia risiede a Trieste, in via Valdirivo 9/I, dove è arrivata il 9 febbraio 1938. Apprendiamo queste notizie dal permesso di soggiorno per stranieri rilasciato dalla questura di Trieste il 10 novembre 1939. Il permesso gli viene rinnovato ogni due mesi ed è valido fini al 30/06/1940. Arrestato alla fine di giugno, il 10 luglio è a Casoli dove gli viene assegnato il letto n. 33.
Il 26 novembre 1940 inoltra richiesta di confinamento insieme alla famiglia. Il 17 dicembre dello stesso anno la questura chiede il nulla osta alla direzione di Casoli affinché la moglie Lea con i due figli possano recarsi a far visita al marito; è probabile che tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio la famiglia si sia riunita a Casoli. Il 18 febbraio 1941 la questura di Chieti chiede alla direzione del campo di Casoli se l’internato Woicech sia disposto a trasferirsi a Ferramonti con tutti i famigliari; la risposta positiva viene inviata il 31 maggio.
*Mio carissimo Ante,
ti ricordo con piacere, perché tu mi sei di gran lunga il più caro e nessuno mi infonde un sentimento così benefico come te, solo in te trovo gioia. Io spero che un giorno il mio tanto desiderato sogno (felicità) si avveri. Il mio cuore sarebbe colmo di gioia, se noi ci rivedessimo.
Mio amatissimo, ricordando il nostro ultimo incontro, ripenso a quanta gioia tu mi hai dato. Ho sofferto molto quando tu te ne sei andato, ma abbiamo superato anche questo ostacolo e guardiamo, se possibile, verso un futuro positivo. Il mio cuore non desidera altro che te, me lo dico continuamente. Ante mio, ho ricevuto la lettera del 9 agosto che tu mi hai spedito il mese scorso.
Tu hai scritto che aspetti la mia lettera. Mi rallegro che tu non tardi a rispondere alla mia lettera, quando il tempo te lo permette. Mi rende molto felice (sapere) che stai bene. Ante mio, mi hai scritto che Mile, non ti ha ancora risposto, può darsi che sia in viaggio. Mileva mi ha scritto e io le ho risposto. Kosovka chiede di me, se sono al mio paese, a lei devo ancora rispondere. Cuore mio, ho ricevuto uno scritto in italiano, che era stato scritto il 30. So che ti manca la tua patria e che ti aspettano i tuoi amici, che a loro volta hanno sentito la tua mancanza, specialmente io, che da tanto tempo ti aspetto.
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