Il 26 gennaio 2020, a Casoli in provincia di Chieti, in occasione della Giornata della Memoria è stata inaugurata una mostra storico-documentaria dal titolo I campi di concentramento fascisti in Abruzzo dal 1940 al 1943. La mostra è stata trasferita presso la sala "Pascal" del Castello Ducale di Casoli.
L’intento della mostra è quello di restituire, un poco alla volta, consapevolezza, attraverso la ricerca storica, ad un territorio che durante la seconda Guerra Mondiale maturò travagliate esperienze di guerra e occupazione – la Linea Gustav lo tagliava da parte a parte; di resistenza, dal formarsi della Brigata Majella alla rivolta lancianese dell’ottobre del 1943; di eccidi – Pietransieri e Sant’Agata, per fare degli esempi – e di fuga, assistendo a fenomeni di spopolamento di luoghi i cui abitanti preferirono abbandonare momentaneamente in cerca di un posto più sicuro, verso Sud, nel territorio ormai liberato dagli alleati. Ma in Abruzzo sono state vissute anche esperienze di confino politico, come nel caso della famiglia Ginzburg, poiché isolato da un punto di vista geografico e mal collegato con i grandi centri urbani, difficilmente raggiungibili data l’assenza pressoché totale di infrastrutture all’avanguardia.
Proprio perché incastonato tra l’Appennino e il mare, non bisogna dimenticare la sua elezione a luogo di internamento e deportazione civile di ebrei stranieri, di ex-jugoslavi rastrellati nei territori occupati dall’esercito italiano, di prigionieri politici e di altre categorie ritenute pericolose, come Rom, Sinti e Cinesi. Ed è su questa particolare necessità bellica, cioè quella di internare queste categorie pericolose, che si concentra la mostra dando un respiro microstorico alle ricerche locali finora condotte sulle località di internamento abruzzesi, cercando di inserirle nel contesto nazionale che vedeva, soprattutto nel Sud Italia, la presenza di una fitta rete di tali strutture concentrazionarie.
Perché questa mostra?
Gli studi sul tema dell’internamento civile fascista hanno fatto emergere il dato dell’esistenza di un sistema concentrazionario italiano durante il periodo bellico degli anni ’40-’43. Tale sistema fu utilizzato dal regime, tra gli altri, come mezzo per attuare la propria politica di repressione del dissenso, di prevenzione per la Pubblica sicurezza e di persecuzione razziale. Gli «elementi pericolosi» e gli «stranieri indesiderabili» che, arbitrariamente e con procedure amministrative, furono perseguitati dallo Stato fascista, vennero internati in uno spazio di confino che il Ministero dell’Interno denominò «campo di concentramento». Con tale designazione si identifica l’area circoscritta di segregazione costituita da strutture preesistenti, oppure costruite ex-novo, dove venivano “concentrate” le differenti categorie di internati civili.
Per questo è necessario fare un'osservazione intorno all'espressione "campo di concentramento", perché ci si trova spesso di fronte ad una confusione di tipo semantico (ossia del significato della parola), in quanto tale espressione immediatamente evoca i campi di sterminio nazisti, che ovviamente sono ben altra cosa rispetto ai campi fascisti, e una comparazione tra i due sistemi dal punto di vista della radicalità, della violenza, del terrore, e della mortalità, rischia una scontata banalizzazione del caso italiano. Detto ciò, è opportuno comprendere il significato che questa espressione ottiene all'interno del sistema concentrazionario italiano fascista (monarchico), così come esso viene concepito e messo in piedi dal Ministero dell'Interno. Nei documenti ufficiali vengono distinti 2 tipologie di internamento:
a) In campi di concentramento propriamente detti;
b) In località di internamento libero.
I campi di concentramento, nell'universo fascista, indicano un luogo circoscritto in un perimetro all'interno del quale vengono segregate categorie diverse di internati. Si tratta quasi sempre di campi mono-genere, ossia maschili o femminili e raramente misti. Le località di internamento libero sono i comuni di residenza coatta per gli internati, i quali possono ricongiungersi con il nucleo famigliare. È evidente che la condizione di "internato" in un campo di concentramento fascista è più sfavorevole e dura rispetto all'altra: promiscuità, libertà di movimento ridotta, regolamento rigido, separazione dal nucleo famigliare, sorveglianza, punizioni, divieti di lavoro, comunicazione ristretta, ecc.
Partendo da queste considerazioni, abbiamo deciso di progettare e realizzare questa mostra storico-documentaria sui Campi di concentramento fascisti in Abruzzo 1940-1943 con l’intenzione di avvicinare un pubblico sempre più ampio alla riscoperta dell’internamento civile fascista che per anni è rimasto nell’oblio.
SOMMARIO
1. Che cos’è un campo di concentramento? 2. L’internamento civile nell’Italia fascista durante la Seconda guerra mondiale 3. Due forme di internamento: campo di concentramento e località di internamento libero 4. Ubicazione dei campi di concentramento fascisti nella penisola italiana: il caso dell’Abruzzo 5. Il campo di concentramento fascista di Casoli (CH) 6. Alcuni documenti del campo di concentramento fascista di Casoli (CH) 7. Il campo di concentramento fascista di Lanciano (CH) 8. Alcuni documenti del campo di concentramento fascista di Lanciano (CH) 9. La famiglia Nagler: dall’internamento fascista in Abruzzo allo sterminio ad Auschwitz 10. L’internamento dei bambini 11. *Gli acquerelli e gli schizzi di Ljubo Ravnikar internato nel campo di concentramento di Casoli 12. Il campo di concentramento fascista di Corropoli (TE) • I volti degli internati in ricordo delle loro sofferenze fisiche e morali.
I curatori
Giuseppe Lorentini, Kiara F. Abad Bruzzo, Gianni Orecchioni, Nicola Palombaro
Casoli (CH), 26 gennaio 2020
* Il pannello n. 11 relativo alle opere del pittore sloveno Ljubo Ravnikar non può essere pubblicato on line per questioni di ©copyright.
Bibliografia di riferimento
Carlo Spartaco Capogreco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), Torino, Einaudi, 2004.
Costantino Di Sante (a cura di), I campi di concentramento in Italia. Dall’internamento alla deportazione (1940-1945), Milano, Franco Angeli, 2001.
Fortunat Mikuletič, Internatitis, Gorica, Goriška Mohorjeva družba, 1974.
Gianni Orecchioni, I sassi e le ombre. Storie di internamento e di confino nell’Italia fascista. Lanciano 1940-1943, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006.
Gina Antoniani Persichilli, Disposizioni normative e fonti archivistiche per lo studio dell’internamento in Italia (giugno 1940-luglio 1943), in “Rassegna degli Archivi di Stato”, Roma 1978.
Giuseppe Lorentini, L’ozio coatto. Storia sociale del campo di concentramento fascista di Casoli (1940-1944), Verona, Ombre corte, 2019.
Jöel Kotek, Pierre Rigoulot, Il secolo dei campi. Detenzione, concentramento e sterminio: la tragedia del Novecento, Milano, Mondadori, 2001.
Klaus Voigt, Il rifugio precario. Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945, Vol. 2, Firenze, La Nuova Italia, 1996.
Livio Sirovich, «Non era un donna, era un bandito». Rita Rosani una ragazza in guerra, Verona, Cierre Edizioni, 2014.
Maria Eisenstein, L’internata numero 6, Roma, De Luigi Editore, 1944.
Simonetta Carolini (a cura di), “Pericolosi nelle contingenze belliche”. Gli internati dal 1940 al 1943, Roma, ANPPIA, 1987.
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