“La nonna e papà temevano che assieme allo sloveno avremmo ereditato le ferite della guerra”. Intervista a Lucia Palme, pronipote di Fortunat Mikuletič

Lucia Palme tiene nelle mani le due copie del libro "Internatitis", l'originale sloveno e la traduzione italiana. (FOTODAMJ@N - Primorski dnevnik)
Lucia Palme tiene nelle mani le due copie del libro "Internatitis", l'originale sloveno e la traduzione italiana. (FOTODAMJ@N - Primorski dnevnik)

Intervista: Lucia Palme, pronipote di Fortunat Mikuletič, internato nel campo fascista di Casoli e autore del libro “Internatitis” recentemente tradotto anche in italiano, racconta la sua vicenda familiare e la trasmissione intergenerazionale dei traumi di guerra

di Peter Verč

 

TRIESTE. Le storie di vita sono spesso tutt’altro che una linea retta, ma piuttosto una curva irregolare. Le diverse pieghe che la storia di un individuo può prendere si moltiplicano se alle scelte e vicissitudini personali si aggiungono quelle dei familiari e degli antenati.

La storia di Lucia Palme, che ricopre il ruolo di responsabile di gestione dei progetti di digitalizzazione presso la compagnia navale Fincantieri, è irta di vicissitudini. La lingua slovena non le era stata tramandata dalla famiglia di origine, ed è tuttavia, tramite altre vie, riemersa nella sua vita. Ha sposato Matej Stolfa, appartenente alla minoranza slovena in Italia, con cui vive a Prosecco, presso la città di Trieste. Juri, il loro figliolo, tra qualche mese accoglierà a casa un fratellino.

Ma per andare con ordine, bisogna cominciare dalla storia del suo bisnonno Fortunat Mikuletič (Trieste, 1888–Lubiana, 1965), membro attivo di molti sodalizi sloveni nella Trieste dei primi decenni del secolo scorso, che negli anni ’50 pubblicò a puntate sul quotidiano sloveno “Primorski Dnevnik” la cronistoria dell’internamento subito durante la Seconda Guerra Mondiale nel piccolo paese abruzzese di Casoli in provincia di Chieti. Lo scritto fu poi pubblicato postumo, in veste libraria, grazie alla figlia Sonja, dalla casa editrice goriziana Mohorjeva družba della Società di Sant’Ermacora con il titolo “Internatitis”.

Quasi mezzo secolo dopo la pubblicazione del libro, lo storico italiano Giuseppe Lorentini, nativo di Casoli, venne a sapere dell’esistenza di questo libro sloveno sul locale campo di concentramento. E fu immediatamente assalito dall’ardente desiderio di proporne il testo, pressoché caduto in oblio, anche al lettore italiano, obiettivo raggiunto infine quest’anno, grazie alla traduzione di Ravel Kodrič e pubblicato dalla casa editrice Round Robin con il sostegno dell’ANPPIA (Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti). Purtroppo, il nipote di Fortunat, Francesco, è mancato poco prima della pubblicazione della versione italiana e non ha potuto prenderlo in mano.

Alla presentazione della traduzione italiana, all’inizio di aprile, a Trieste, si è perciò fatta portavoce della famiglia la pronipote di Mikuletič, Lucia Palme, della quale riportiamo in calce l’intervista.

Era a conoscenza del fatto che suo bisnonno aveva scritto un libro?

“Sì. Ne avevamo una copia in casa, donatoci dalla nonna Sonja. Purtroppo né noi bambini né nostra madre fummo in grado di leggerlo, perché era scritto in sloveno, lingua che purtroppo non parlavamo.”

 

Ora, però, a distanza di cinquant’anni dall’originale sloveno, è uscita la traduzione italiana di “Internatite”. L’ha già letta?

“Certamente, l’ho letta tutta d’un fiato, perché il ritmo della narrazione cattura il lettore. Quando la traduzione era ancora in corso, il Dott. Lorentini mi raccontava meraviglie dello scritto di mio bisnonno. Ed è vero: immersa nella lettura del libro, più d’una volta mi sono sorpresa a sorridere, nonostante gli argomenti trattati siano tutt’altro che piacevoli.”

 

Cosa ha provato leggendo le parole del bisnonno che non ha mai conosciuto?

“Alcune storie già le conoscevo perché me le avevano raccontate mio padre e mia nonna. Mio padre, per esempio, ci descriveva le difficili condizioni nelle quali fu costretto a vivere suo nonno durante l’internamento. La descrizione del freddo intenso nel libro perciò non mi è giunta nuova. La lettura del libro ci ha permesso di approfondire alcuni aneddoti che conoscevamo invece solo superficialmente.

 

Cosa le hanno raccontato il papà e la nonna del bisnonno Fortunat Mikuletič?

“Ci parlavano dei tratti peculiari del suo carattere e dell’ironia con la quale affrontava anche la quotidianità. Mia nonna, con gli occhi lucidi, mi ha descritto anche il suo ritorno dall’internamento: dopo anni di assenza era molto cambiato, stremato e malato, ma alla fine si è ripreso, e possiamo solo immaginare la gioia della nonna al termine della convalescenza.

 

L’ironia di Mikuletič si è trasmessa alle generazioni successive?

“Sì, abbiamo ereditato qualche pizzico della sua ironia. Mio padre amava scherzare, e un po’ di quella vena ce l’abbiamo pure noi, i suoi figli.”

 

È chiaro che in Mikuletič pulsava un’anima artistica. Scriveva contributi ai quotidiani, era presidente del conservatorio sloveno della Glasbena matica e molto altro. A giudicare dall’istruzione che ha avuto, lei sembra invece più orientata alla scienza...

“Vero. La passione per la matematica l’ho ereditata da mia mamma. In famiglia l’anima artistica è stata invece ereditata da mio fratello, grande lettore e appassionato di cinema e teatro, oltre ad essere stato poeta amatoriale durante gli studi. Siamo tre in tutto, pronipoti di Fortunat: mio fratello è il primogenito, poi mia sorella ed io sono la più piccola.”

 

Come mai è stata proprio lei a farsi portavoce della famiglia alla presentazione della versione italiana del libro?

“È stata una coincidenza del caso. Dopo il primo contatto del Dott. Lorentini con la mia famiglia, sono stata io il riferimento nei successivi colloqui: mio fratello vive in Cile e mia sorella era molto impegnata, lavorando e madre di due bambini già allora.”

 

Con chi ha stabilito il primo contatto, il dott. Lorentini?

“Con mio padre.”

 

Vostro padre è rimasto sorpreso del fatto che qualcuno si interessasse al libro di suo nonno?

“Molto. Purtroppo già allora non godeva di buona salute, venendo poi a mancare qualche mese fa. Consegnò a me la lettera che ricevette dal Dott. Lorentini, dato il suo stato di salute. Sono stata quindi io a stabilire poi i contatti con lui.”

 

Il Dott. Lorentini, curatore e prefatore del libro tradotto da Ravel Kodrič, ha dovuto chiedervi l’autorizzazione per la pubblicazione?

“Sì, sono stati rispettati i diritti d’autore. Naturalmente, glieli abbiamo ceduti.”

 

I nostri lettori saranno sicuramente curiosi di sapere come mai la conoscenza della lingua slovena non è stata trasmessa alla sua generazione, posto che Mikuletič ci teneva alla propria identità slovena...

“Ebbene, questa domanda non se la porranno solamente i lettori, anch’io me la sono posta (sorride). Desidero innanzitutto precisare, che non desidero che la storia si ripeta con la mia famiglia. Sono felicissima di aver sposato Matej, che appartiene alla comunità slovena in Italia. Nostro figlio Juri parla già lo sloveno e faremo in modo che i nostri figli, crescendo, apprendano le vicende della mia famiglia e di quella di Matej.

La divisione che si è interposta tra la generazione di mio padre e la nostra è il risultato di un doloroso ricordo di guerra. Il ramo famigliare dei Mikuletič ha sofferto per l’internamento di Fortunat, ma il dolore della perdita non ha risparmiato neppure il ramo famigliare dei Palme (n.d.r.: il nonno di Lucia, marito di Sonja e padre di Francesco, è morto giovanissimo nelle prigioni Jugoslave).”

 

Lei, però, ha chiaramente voluto ristabilire un contatto con il mondo sloveno.

“Sì. È logico che, vivendo a Trieste, si è immersi in una cultura mitteleuropea, a stretto contatto con quella slovena e non solo. Per me a maggior ragione, essendo cresciuta a Slivia, dato che la minoranza slovena è di fatto la maggioranza dei residenti in questi paesi di confine. Mi dispiaceva non comprendere la lingua, che pure sentivo parlare a casa tra mio padre e mia nonna. Un felice caso volle che incontrassi Matej...”

 

Come vi siete conosciuti?

“All’Oktoberfest del Carso, a Prepotto/Praprot (ride).”

 

Come si spiegano i suoi studi a Lubiana?

“Si è presentata l’opportunità di una doppia laurea mentre completavo la triennale in Matematica. Non ero interessata al classico scambio Erasmus che ti permette di andare a far “baldoria”. Ho sfruttato l’opportunità di starmene per qualche tempo a Lubiana, perché oltre a costituire un’esperienza all’estero, mi ha permesso di imparare un po’ di sloveno.”

 

La sua volontà di apprendere i rudimenti dello sloveno è evidentemente spiccata. Si può dire che negli anni in cui ha iniziato ad interrogarsi sulla propria identità, ha avvertito un senso di menomazione?

“Sento di non aver ricevuto tutto ciò che avrei potuto da mio padre. Il fatto che non mi fossero state trasmesse le radici slovene mi ha fatto sentire privata di qualcosa. Ma allo stesso tempo ho capito l’atteggiamento di mia nonna e di mio padre. Entrambi hanno sofferto a causa della guerra e non volevano che anche noi rivivessimo quel dolore. Temevano che assieme alla lingua slovena potessero trasmetterci anche le ferite della guerra. Sentimento irrazionale, ovviamente. Ma non incomprensibile, credo.”

 

Ciò significa che suo padre e sua nonna associavano la lingua slovena al dolore che le autorità Jugoslave post-belliche avevano loro inflitto?

“No, mio padre soffriva piuttosto a causa degli insulti anti-sloveni che subiva, ad esempio sul posto di lavoro. Non voleva che anche a noi spettasse un trattamento simile. Mio fratello è nato nel 1976, io sono del 1988. All’epoca mio padre non poteva immaginare che un giorno italiani e sloveni avrebbero fatto parte dell’Unione Europea e che i confini non sarebbero esistiti. Erano tempi diversi.”

 

Suo nonno Palme, che suo padre non ha mai conosciuto, parlava sloveno?

“Sì, certamente.”

 

Da dove proviene il cognome Palme?

“Il cognome ha origini boeme. Palme, Palmer, sono cognomi molto diffusi nel nord Europa. Mio fratello ha anche visitato la tomba di famiglia nei pressi di Praga. La famiglia di mio nonno paterno si era trasferita da lì a Lubiana.”

 

E sua madre, è triestina?

“Sì. Anche i suoi genitori sono nati a Trieste, ma il cognome Bonifacio rivela che quella branca della famiglia ha origini istriane.”

 

Non abbiamo ancora menzionato una persona. Cosa sa della bisnonna, della moglie di Fortunat Mikuletič?

“Di Valeria? In realtà non molto. Era una donna molto determinata. Durante la guerra, quando dovette trasferirsi da Lubiana a Trieste, mio padre ci ha raccontato che riuscì a ottenere dai tedeschi la disponibilità di un vagone ferroviario per il trasporto dei suoi beni. La dice lunga, sulla sua tempra di donna in quei tempi difficili.”

 

Ha mai visitato la tomba di Fortunat Mikuletič a Capodistria?

“Certamente. Una o due volte all’anno visitiamo sia la tomba dei Mikuletič a Capodistria sia quella dei Palme a Lubiana.”

 

E allora, in sloveno: hvala lepa (grazie mille, NdT).

“Hvala tebi (grazie a te; risponde in sloveno). A ripensarci, su quanto ho detto... Mio padre non voleva che anche noi rivivessimo esperienze spiacevoli come quelle da lui patite a causa della lingua che parlava. Perciò non ci ha insegnato lo sloveno; voleva risparmiarci le umiliazioni e gli insulti.

Noi, suoi figli, allo stesso modo non vogliamo che i nostri figli ripercorrano la nostra esperienza negativa con la lingua – quella della privazione. Perciò cerchiamo di insegnare loro il maggior numero possibile di lingue. Mio fratello ha trasmesso l’italiano e lo spagnolo a sua figlia, mia sorella ha iscritto i suoi figli a un corso di inglese, e io e Matej cresciamo Juri bilingue italiano e sloveno. È curioso come la storia si ripeta, ma in modo da far sì che in periodi diversi l’angolatura muti di 180°. I nostri figli probabilmente vivranno in un mondo ancora diverso. Non sapranno mai cosa sono i confini o cosa sia la guerra. Per fortuna. Questo, almeno, è ciò che mi auguro.”

 

Traduzione in italiano a cura di Ravel Kodrič. Articolo originale in sloveno pubblicato sul quotidiano “Primorski dnevnik” il 5.05.2024, p. 5. Si ringrazia il direttore responsabile Igor Devetak per la gentile concessione di riproduzione e traduzione di questa intervista.

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