Italia - La cittadina nell’Abruzzo renderà omaggio agli internati sloveni, croati ed ebrei
"Si facciano vivi i discendenti, è quanto di meglio mi auguro"
Casoli - Una telefonata in Germania. Mi risponde un docente d'italiano. Colui che meglio conosce le vicende vissute dagli sloveni e dai croati internati dalle autorità italiane fra il 1942 ed il 1944 a Casoli, la cittadina ai piedi del massiccio del Majella in provincia di Chieti, sulla riva destra del fiume Aventino.
"Si facciano vivi i discendenti"
La regione è quella dell’Abruzzo dove gli Apennini si elevano a quasi 3000 metri di altezza. È lì che dal 1940 al 1942 furono ristretti, nelle case che si affollano attorno al pittoresco colle, numerosi ebrei. Nel 1942 costoro furono poi trasferiti ad un paio di centinaia di chilometri di distanza più a sud nel campo di Campagna in provincia di Salerno. Non per dieci ebrei che purtroppo finirono deportati nei campi di sterminio e alla Risiera di Trieste. Ma Casoli non rimase deserta. Vi furono insediati un centinaio di "ex-jugoslavi".
"È il termine usato dallo stato fascista, ma so bene che si trattò di sloveni, croati ed altri," dice Giuseppe Lorentini. È lui, il professore di italiano. Dal 2009 vive a Bielefeld per svolgervi la professione di lettore di italiano presso l'università locale.
Fra non molto aggiungerà alla laurea in conservazione dei beni culturali conseguita all'Università di Chieti anche la laurea in storia. "Nulla mi renderà più felice di una chiamata da parte di qualche parente o discendente di qualcuno degli internati. È il massimo che possa augurarmi. Sono perciò davvero lieto di poter interloquire con un giornale sloveno. Pubblicate pure senza riserve tutto quanto ho immesso in rete. Lo si diffonda il più possibile."
Un archivio on-line più unico che raro
Lorentini ha creato il sito www.campocasoli.org che riporta copiosi materiali legati alle vicende del campo: carte d'identità degli internati, loro lettere e fotografie, note ufficiali dei custodi, istanze rivolte ai dignitari romani ...
"Ho ritrovato non poche lettere con le quali gli internati chiedono di essere trasferiti a Udine o a Gonars." È il caso, ad esempio, dell'istanza rivolta al ministero degli interni a Roma da Ignazio Turk, originario di Vrhnika, il 18 gennaio 1943. Riferisce al ministro che pure la coniuge Giovanna e la figlia Stana sono recluse a Gonars e pertanto gradirebbe il ricongiungimento della famiglia. Lo stesso Turk con altra istanza implora una visita medica per gravi malanni alla vista.
"Non sono poche le lettere mai pervenute al destinatario. Sarei felicissimo se qualcuna di esse potesse essere recapitata a qualche suo discendente," ribadisce Lorentini. Grazie al vasto archivio che il ricercatore ha scannerizzato ed immesso in rete, il campo di Casoli è un caso unico in Italia. Si conosce il nome di chiunque vi sia stato inviato. "Qualche politico magari direbbe che vi sono venuti in vacanza. Lasciamo perdere. L'importante è dire che si è in presenza di un caso di persecuzione fascista. Qui non c'erano tedeschi, fu tutto frutto della politica fascista dell'Italia."
A chi accede al sito di Lorentini si schiude un dolente panorama di esperienze amare di persone stipate, a mille chilometri da casa, in alcuni edifici, alle prese con l'angoscia, la nostalgia, le ristrettezze, i malanni fisici.
"Esiti mortali non si registrarono", spiega il ricercatore, "ma le condizioni erano davvero dure. Finché si trattò di internati ebrei, si tirò a campare. La popolazione locale ne fu per certi versi pure lieta, perché ne ricavò qualche opportunità di guadagno. Dettero del lavoro ad una lavanderia, a qualche trattoria. Ma quando nel 1942 giunsero gli "ex jugoslavi", la situazione mutò di colpo. Ho trovato la lettera di un internato che scrisse a casa di aver passato ormai un anno a Casoli con addosso sempre gli stessi indumenti. Scrive di tremare dal freddo e chiede che gli si inviino della biancheria e dei vestiti."
Di alcune lettere il Lorentini ha ottenuto la versione in italiano.
Angela mi da da leggere le tue lettere
Ad esempio quella scritta da Zofi a Jože da Vrhnika nell'estate del 1942. La mamma è in ospedale e scrive: "Sai, era una pena vederla a casa tutta dolorante ed affatto incapace di mangiare." E verso la fine della lettera: "Angela mi da da leggere la maggior parte delle tue lettere. Che tu lo creda o no, mi recano un gran sollievo. Specie perché vedo che ti ricordi di me. Grazie."
Ma com'è giunto, il Lorentini, a tutto questo materiale? "Quando il campo fu liquidato, il tutto approdò all'archivio comunale. Nessuno più vi badò, ci si scordò persino della sua esistenza. Ma nel 2000 il comune deliberò di commissionare una revisione del contenuto di quelle casse dimenticate. L'esecutore esterno salvò tutti questi documenti dall'oblio."
I nomi dei 218 internati sono ora incisi su una lapide che verrà solennemente inaugurata sabato in occasione della celebrazione della Giornata della Memoria delle vittime della Shoa.
Giuseppe Lorentini di certo non vi mancherà. L'inaugurazione è per lui un bel risultato. Egli ribadisce che si tratta di un omaggio a tutti i perseguitati dal fascismo. "Fra essi non ci furono soltanto ebrei," aggiunge.
I nomi rilevati sono 218. Di essi 108 furono gli ebrei. Gli ha ricordati, nei suoi scritti, il triestino Livio Sirovich, visto che una cinquantina di essi vi giunsero dal carcere del Coroneo. Casoli, una cittadina di 5000 anime, attende ora che si descrivano e si ricordino anche le sofferenze patite dagli sloveni e dai croati. Le loro lettere attendono di essere prese in consegna da mani amorevoli di nipoti e pronipoti.
Peter Verč
Traduzione dallo sloveno all'italiano per gentile collaborazione di
Ravel Kodrič
Il 23.01.2018 è uscito un lungo articolo sul quotidiano triestino in lingua slovena "Primorski dnevnik" con il servizio di Peter Verč sul mio progetto di ricerca campocasoli.org. Il titolo si potrebbe tradurre così: “Si facciano vivi i familiari, nulla mi farebbe più felice”. Lo hanno messo a pagina 3 con un grande richiamo in prima pagina! In redazione ieri hanno molto discusso della vicenda e tanti sono del parere che bisogna scriverne ancora. Peter Verč sta già preparando un nuovo articolo, basato su alcuni sloveni piuttosto noti internati a Casoli (un esempio: il medico Peter Drzaj è stato a Casoli, poi tornato in patria si è unito ai partigiani ed è morto in battaglia. A lui è oggi intitolato un ospedale di Lubiana).
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